Bullismo: semplice dispetto o prepotenza

Published On: Aprile 2nd, 2022 / Categories: Bullismo /

di Verena Elisa Gomiero

I primi studi sul bullismo risalgono agli inizi degli anni settanta per opera di Dan Olweus psicologo e ricercatore norvegese. Ha insegnato psicologia all’Università di Bergen in Norvegia, per molti anni ha diretto un importante centro di formazione per psicologi clinici dell’età evolutiva, attualmente ricopre la carica di presidente dell’International Society for Research on Aggression. Egli ritiene che i comportamenti aggressivi debbano essere precocemente identificati, per essere opportunamente contenuti e corretti. Il lavoro pionieristico di Olweus in Scandinavia ha permesso di sperimentare i primi interventi a livello nazionale contro il bullismo nelle scuole, coinvolgendo alunni, insegnanti, genitori ed educatori.

L’autore norvegese ha dato una definizione “universale” di bullo: “Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Una azione è ritenuta offensiva quando una persona la infligge intenzionalmente o arreca un danno o un disagio a un’altra persona.

Tali azioni negative o prepotenti possono essere compiute attraverso:

1)  contatto fisico
2)  parole ingiuriose
3)  allontanamento o esclusione dal gruppo.

Per poter parlare di bullismo deve esserci uno squilibrio di forze, ossia una relazione di potere asimmetrica, per la quale il ragazzo esposto ai tormenti evidenzia difficoltà nel difendersi.”

Olweus considera l’aggressività che caratterizza il “bullo” come una risposta comportamentale e non come impulso irrefrenabile che rimanderebbe a concetti psicodinamici. L’autore evidenzia degli elementi che possono provocare o esasperare tale risposta e sono: A) il clima della classe, B) le intromissioni degli insegnanti, C) l’ambiente familiare, D) aspetti individuali dei ragazzi (1986,1991).

Un’altra definizione del fenomeno del bullismo ci viene data da due studiosi inglesi Sharp e Smith (1994) i quali affermano che un comportamento da bullo è: “un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare.” Quindi intenzionalità, persistenza e disequilibrio sono gli elementi che caratterizzano il fenomeno del bullismo; i primi due a carico di colui che compie l’azione, il terzo distintivo della situazione nella sua globalità, in cui gli attori del dramma occupano posizioni diverse nella scala del potere e del prestigio. Ciò significa che con il termine bullismo non ci si riferisce ad una situazione statica in cui c’è qualcuno che aggredisce e qualcuno altro che subisce, ma a un processo “dinamico” in cui persecutori e vittime sono entrambi coinvolti.

In Italia il fenomeno del bullismo è stato studiato a partire dai primi anni novanta ad opera di Ada Fonzi, docente di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Firenze. Il primo problema che la ricercatrice e i suoi collaboratori si sono trovati a dover affrontare è stato quello del nome da

attribuire al fenomeno studiato. Il termine inglese bullying, che interpreta assai bene la situazione in cui c’è contemporaneamente qualcuno che prevarica e qualcuno altro che è prevaricato, non trova il suo corrispettivo nella lingua italiana. Attraverso una indagine preliminare su soggetti di scuola elementare, i ricercatori hanno constatato che i termini bullo/bullismo sono poco familiari ai bambini, si è optato per il termine prepotenze che presenta un’accezione ampia di significati (si può parlare di prepotenze fisiche, verbali e psicologiche). Il termine ora è più comune sia tra gli addetti ai lavori sia nel più vasto pubblico.

La definizione, a cui i ricercatori italiani ( Genta, Fonzi, Menesini, Costabile, 1996, Fonzi, 1997) sono arrivati, dopo anni di lavoro e che viene utilizzata in numerose ricerche è la seguente: “Diciamo che un ragazzo subisce delle prepotenze, quando un altro ragazzo, o un gruppo di ragazzi gli dicono cose cattive e spiacevoli. E’ sempre prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci e minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese e parolacce, quando nessuno gli rivolge mai la parola e altre cose di questo genere. Questi fatti capitano spesso e chi subisce non riesce a difendersi. Si tratta sempre di prepotenze anche quando un ragazzo viene preso in giro ripetutamente e con cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi, all’incirca della stessa forza, litigano tra di loro o fanno la lotta”. Tali ricercatori sostengono che due sono gli aspetti fondamentali che distinguono il bullismo, ossia la ricorsività nel tempo (il fenomeno si protrae per giorni, settimane, mesi e addirittura anni) e l’asimmetria di potere, tra chi fa le prepotenze e chi le subisce, ossia tra il bullo e la sua vittima.

Caratteristiche del bullismo

Gli studiosi del fenomeno bullismo dopo anni di ricerche hanno constatato che tale fenomeno può essere considerato una sottocategoria del comportamento aggressivo che presenta alcune caratteristiche distintive, le principali sono: a) l’intenzionalità, il comportamento in oggetto è volto a creare un danno alla vittima; b) le diverse forme in cui si manifesta, la prepotenza può essere perpetrata mediante attacchi fisici, verbali e indiretti; c) la sistematicità, il bullismo presenta caratteristiche di ripetiti-vità e perseveranza nel tempo; d) l’asimmetria di potere, nella relazione tra bullo e vittima il bullo è più forte e la vittima è più debole e spesso incapace di difendersi (Olweus, 1993; Coie e Dodge, 1998; Smith et al.,1999; Fonzi, 1999).

Il bullismo può essere perpetrato da un singolo individuo (il bullo) o da un gruppo, costituito da un minimo di due o tre persone o per meglio dire bambini e ragazzi. Il bersaglio del bullo (o dei bulli), può essere un singolo individuo, la vittima, nella maggior parte dei casi, o un gruppo ma ciò si verifica raramente (Olweus). Il bullismo si verifica soprattutto nelle scuole in determinati momenti: durante la ricreazione, negli intervalli tra una lezione e l’altra, durante l’ora di ginnastica, durante l’orario di mensa ed anche nel tragitto da casa a scuola e viceversa.

Ricordo brevemente che il termine bullismo non deve essere usato quando due studenti, pressappoco della stessa forza (fisica e psicologica) discutono o litigano tra loro. Tra i due deve esserci un’asimmetria nella relazione ossia, lo studente esposto ad azioni offensive ha difficoltà nel difendersi e si trova, dunque, in una situazione di impotenza contro colui o coloro che lo molestano. Questo è un elemento fondamentale per poter parlare veramente di bullismo e non va mai tralasciato.

Attraverso vari studi e ricerche è stato possibile osservare che il bullismo si manifesta in due forme principali.
BULLISMO DIRETTO, che si manifesta in attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima e questi possono avvenire in modo fisico: colpire con pugni o calci, rovinare o sottrarre oggetti di

proprietà ecc.; oppure può avvenire in modo verbale: prendere in giro ripetutamente, deridere, insultare, sottolineare aspetti razziali ecc.
BULLISMO INDIRETTO, che consiste in un isolamento sociale e intenzionale esclusione dal gruppo e tutto ciò è possibile diffondendo pettegolezzi fastidiosi, storie e dicerie offensive, escludendo dai gruppi di aggregazione, allontanando il più possibile gli eventuali amici della vittima designata.

Si possono verificare entrambi i tipi di bullismo, si viene a creare una interpolazione tra le due tipologie, esempio: un bullo può sia prendere in giro, deridere, minacciare la sua vittima (bullismo diretto), sia diffondere pettegolezzi, storie offensive (bullismo indiretto), (Olwues, 1993,1996). Questa forma di prevaricazione può durare per un lungo periodo e non si parla solo di settimane o mesi, ma addirittura di anni. I dati raccolti in anni di studi evidenziano una situazione paradossale, persecutori e vittime una volta insediatisi nel ruolo, non riescono più a uscirne e continuano a recitare la stessa parte, pena la perdita della propria identità (Fonzi 1996).

Vi è una forte immedesimazione nel ruolo, una specie di etichettamento autoimpostosi come nel bullo, mentre la vittima si trova a doverlo subire passivamente.
Tale fenomeno si manifesta tra gli 8/10 anni fino agli 11/13 anni in media. Le ricerche indicano che si tratta di un fenomeno che tende a decrescere con l’età, soprattutto con il passare dalla scuola primaria a quella secondaria. Nelle scuole elementari e nei primi anni delle medie è abbastanza presente come fenomeno sociorelazionale e come modalità diffusa di soluzione dei conflitti. Con il crescere dell’età la percentuale di casi diminuisce proporzionalmente all’aumento di un atteggiamento di condanna del gruppo verso i prepotenti e di una maggiore tendenza ad aiutare le vittime. Ma se l’ambiente esterno cambia, assumendo un atteggiamento di attenzione verso le vittime, si assiste ad una radicalizzazione in un numero ristretto di casi di prepotenze come forma stabile di disagio giovanile e ciò lo si riscontra nelle scuole superiori. Alcune statistiche sia italiane che straniere hanno evidenziato che i bulli hanno percentuali elevate di assumere comportamenti antisociali e devianti nella maggiore età e spesso conoscono anche il carcere. A tal proposito studi inglesi e norvegesi concordano nell’indicare che il 60% degli studenti connotati come “bulli” nell’età scolare, all’età di 24 anni è stato incarcerato almeno una volta e che gli adulti “ex bulli” presentano un livello di criminalità quattro volte più alto dei coetanei. Le vittime a loro volta hanno una riduzione della stima di se stesse , in casi estremi si può verificare il suicidio, e in età matura possono mostrare sintomatologie depressive (Olweus, 1996).

Il bullismo è un’esperienza che i bambini non dovrebbero fare ed è compito degli adulti (genitori, insegnanti, educatori ecc.) vigilare ed evitare che tale fenomeno si verifichi o perlomeno tentare di ridurlo.
Da varie ricerche effettuate in questi anni si è visto che il fenomeno delle prepotenze coinvolge in modo differente maschi e femmine. I maschi generalmente fanno uso di un bullismo diretto, ossia prepotenze fisiche e verbali: calci, pugni, scherzi pesanti, le vittime sono soprattutto altri maschi, ma anche le femmine circa un 60% afferma di essere oggetto di bullismo da parte dei maschi.

Le femmine a loro volta usano un bullismo indiretto che si esprime in: forme di isolamento sociale e di esclusione intenzionale dal gruppo dei pari, con modalità più subdole e indirette come la calunnia, lo scherno, la maldicenza, il disturbo, la manipolazione e l’alterazione dei rapporti di amicizia esempio classico: allontanare una ragazza dalla sua migliore amica (Olweus, 1993, 1996; Fonzi etal.,1996).

In passato, con i primi studi, si riteneva che il bullismo fosse una conseguenza della competizione scolastica per il conseguimento di buoni voti. In particolare, si affermav a spesso che il comportamento aggressivo dei bulli verso i propri coetanei potesse essere considerato come una reazione alle frustrazioni e ai fallimenti scolastici. Sebbene questa poteva essere un’ipotesi ragionevole, i dati dimostrano che non trova riscontro nella realtà (Olweus, 1996). Una serie di indagini (Olweus, 1978) successivamente convalidate da studi più mirati (Olweus, 1983,1996)

induce infatti a non accettare una spiegazione del genere. E’ stato selezionato un campione di 444 ragazzi provenienti da Stoccolma, seguiti longitudinalmente dalla quinta elementare alla terza media, i dati emersi non confermano in alcun modo che il comportamento aggressivo dei ragazzi sia una conseguenza dei voti bassi o del fallimento scolastico. Inoltre si è visto che sia i bulli che le vittime riportavano in alcuni casi voti più bassi della media. In quinta e sesta elementare le deviazioni dalla media non sono marcate, ma le differenze diventano particolarmente pronunciate, soprattutto per i bulli, nella scuola media. Nonostante ciò, non vi è nulla che sostenga l’ipotesi che i voti bassi inducano ad avvalersi di condotte aggressive (Olweus, Haeselager, van Lieshout, 1992, 1996).

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